Le abitudini attraverso il pensiero inconscio guidano quasi metà delle nostre azioni quotidiane. Ci permettono di acquisire l’abilità di eseguire azioni involontarie attraverso il “salvataggio” di risposte automatiche. Bisogna far si che il servizio che stiamo progettando possa entrare nell’inconscio del nostro utente in maniera attiva. Immaginiamo un video game gratuito. Il giocatore può proseguire senza pagare fino ad un certo punto. Una volta che si è instaurata una consistente abitudine e stimolo alla prosecuzione della storia, trasformare il giocatore in “cliente” è molto più facile. Non mi riferisco ad un pagamento diretto per continuare a giocare ma logiche che spingono l’utente a facilitarsi il proseguimento: vite extra, poteri o potenziamenti. Molte aziende sbagliano pensando di sviluppare prodotti che sono marginalmente migliori di quelli esistenti, pensando che l’innovazione sia la chiave del successo. Gli utenti che utilizzano prodotti simili però preferiscono non cambiare proprio a causa delle abitudini sviluppate.
Un esempio potrebbe essere google. Provate ad usare bing… se paragonati in termini di ricerca i risultati sono molto simili. A livello cognitivo il passaggio dall’interfaccia di google a bing è uno sforzo importante.Determinare la possibilità di creare “abitudine” dipende dal capire essenzialmente 2 fattori: Frequenza (quante volte in una giornata viene usato) ed utilità percepita.
La creazione degli “habit-forming” (assuefazioni) avviene inizialmente attraverso call to action.
Le emozioni, particolarmente quelle negative sono potenti internal trigger che influenzano il nostro quotidiano. Noia, solitudine, frustrazione creano in noi irritazione , dolore e ci conducono spesso ad azioni per reprimere quelle sensazioni negative. Per esempio qualcuno che usa spesso instagram quando ha paura che un momento speciale sia perso per sempre. Utenti che trovano un prodotto che allevia i loro “dolori” creeranno forti e positive associazioni con il prodotto stesso.
Quando progettiamo dobbiamo chiederci il perché delle cose:
Perché la gente manda messaggi di testo? Perché fanno foto? Che ruolo ricopre la televisione nelle loro vite? Chiediamoci che tipo di “pena” o “dolore” queste abitudini risolvono. Se vogliamo progettare un prodotto rilevante per la gente dobbiamo metterci nei loro panni e scrivere una storia dal loro punto di vista.
Analizziamo i comportamenti attraverso i perché:
Domanda - Perché julie vuole mandare email?
Risposta - Perché cosi può mandare mail e ricevere messaggi.
Domanda: Perché lo vuole fare?
Risposta - Perché vuole condividere e ricevere informazioni velocemente
Domanda - Perché lo vuole fare?
Risposta - Perché vuole sapere cosa succede nella vita dei suoi colleghi , amici e familiari
Domanda- Perché ha bisogno di questo?Risposta - Per sapere se qualcuno ha bisogno di lei.
Domanda - Perchè si preoccupa di questo?
Risposta - Perché ha paura di rimanere “fuori dal giro”
Adesso sappiamo che la paura è un potente internal trigge